Punto di inizio anno

Stato delle cose attuale. Paralisi dei sensi, dei sogni, disillusione assoluta. raffreddore apocalittico, la sensazione che ogni cosa debba smettere di essere: il contrario della consapevolezza dell’unità del tutto, la tristezza della frammentazione esposta e volontaria, autoimposta, la segregazione delle speranze.
pochi propositi, e in quattro giorni neanche una doccia.
nessuna originalità in questi sbagli, calcificati, come stanche abitudini esauste.
è l’unico modus vivendi di cui l’esperienza è satura satolla. lo scorso gennaio era un ribrezzo simile, le strategie di resistenza sono inscritte nel profondo d’un’anima erosa dalle sue effimere valli. il calcio in streaming, i social, l’accademia quand’è fine a sé stessa: tutto è pervaso da un alone di stanchezza, di disillusione affranta. è un mondo vecchio che bisogna abbandonare.
pito va in subaffitto da qualche parte nell’appennino, sotto il cimone non c’è neve e gli albergatori si lamentano dal governo, è il quattro gennaio ma fuori certo non fa un gran freddo, ci sono nove gradi buoni dice il termometro dell’internet
con queste parole mi impegno in un progetto di rigenerazione spirituale che sia il più possibile sincera, integrale, mi propongo un po’ di astinenza dalle cose dette i piaceri della vita per ricercare l’essenza, sepolta sotto strati d’ipocrite distrazioni fugaci ed irrealizzanti. le amnesie che mi divorano urgono di lasciare il passo alla certezza delle cose essenziali della vita, trovare piacere nel muoversi spostando sé stessi, scrivendo traendo da ciò energie, e non dissipandone a questo fine, e tutto ciò che ne consegue.

ciò che s’attarda ad andarsene. La fine delle ferie forzate, il tennis in tivù, i ghirigori e chi più ne ha più non smetta è un’ovvietà spesso troppo spesso non detta. il calcio, gli sguardi di nascosto alla gente incontrata durante gli anni passati, a scuola, in giro per il paese, al catechismo. Tutti a vender sé stessi, a convincer non si sa chi della qualità inossidabile delle proprie scelte di vita, foto patinate, colori vividissimi, qualche riga biografica intertestuale che rimanda a tutto quello che fate nel vostro tempo: provate in ogni modo di convincerci che ciò che ci date a vedere sia vero, sia proprio così che investite i vostri giorni – perché se insta è un gigantesco supermercato, ed ogni profilo è una vetrina, l’afflato economico totale non potrà mica fermarsi qui, lasciando inavvinghiato l’umano che ancora resta, che ancora eccede il macchinico.

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Instagram è il mondo degli uomini doppi sdoppiati, smezzati tagliati filtrati invetrinati all’infinito smodato. quelli nati prima del 2003 hanno due profili, il primo ufficiale il secondo lavorativo, od espressamente dedicato al loro tentativo d’emergere, di guadagnare attraverso la mercificazione del loro tempo incasellato nelle strutture che le piattaforme mettono a disposizione. entrambi pubblici, solitamente. le ragazze tendono ad avercelo privato. quello lavorativo, molto poco spesso è privato: il lavoro è pubblico, mira a raggiungere il maggior numero possibile di persone – come ogni profilo che si rispetti, del resto. quelli nati dopo il 2003 hanno due profili, il primo ufficiale privato, ‘quello per tutti’, il secondo è il cosiddetto profilo sputtano, dove pubblicano – solo per i loro amici più o meno stretti – le cose proibite che fanno, molto da minori che vogliono far sapere a più persone possibili cose che non deve assolutamente sapere il loro padre, o la loro madre, ma il percorso degenerativo è arrivato qui; ai piccolissimi, oggi quasi adolescenti. per ogni utente, insomma, ci sono almeno due profili. bulimie indentitarie.

il mondo è pieno zeppo di gente sola che non sa come fare il primo passo (toni vallelonga)

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