Aldilà delle previsioni

April 1st, 2025 by dbpoff

Il sole si fa nel vento, l’aria fluttua senza posa e porta respiri di genti lontane fino qui, dove tutto è immoto e placido, sereno ma non silente. Disteso ma non posato, non del tutto. Acciacchi vari lungo tutto l’arco corpolino. Giorni e giorni di cieli incerti, farsi dire dal proprio dispositivo [e fra le righe, che cos’è oggi questo dispositivo per noi? cosa rappresenta, cos’è di noi? domande giganti e trasversali] se sarà bello o sarà brutto, e se sarà abbastanza brutto starsene di per sè, soli e rintanati rannicchiati da qualche parte che è il nostro covo, il nostro lido. Marzo di meteo ballerino, un mese che è tornato e ancora non ho visto mio cugino. Spolpo la gola di rantoli sordi. Pura sopravvivenza, parvenza del momento.

Spunta il sole dalla coltre e leggo questo breve intervento d’una voce dello scorso otto marzo, allegoria della politica. Così recita, per intero: Siamo tutti all’inferno, ma alcuni sembrano pensare che non ci sia qui altro da fare che studiare e descrivere minuziosamente i diavoli, il loro orrido aspetto, i loro feroci comportamenti, le loro infide trame. Forse si illudono in questo modo di poter scampare all’inferno e non si rendono conto che ciò che li occupa interamente non è che la peggiore delle pene che i diavoli hanno escogitato per tormentarli. Come il contadino della parabola kafkiana, essi non fanno che contare le pulci sul bavero del guardiano. Va da sé che nemmeno sono nel giusto coloro che all’inferno passano invece il loro tempo a descrivere gli angeli del paradiso – anche questa è una pena, in apparenza meno crudele, ma non meno odiosa dell’altra.
La vera politica sta tra queste due pene. Essa comincia innanzitutto col sapere dove ci troviamo e che non ci è dato sfuggire così facilmente alla macchina infernale che ci circonda. Dei demoni e degli angeli sappiamo quello che c’è da sapere, ma sappiamo anche che è con una fallace immaginazione del paradiso che è stato costruito l’inferno e che a ogni consolidamento delle mura dell’Eden fa riscontro un approfondimento dell’abisso della Gehenna. Del bene conosciamo poco e non è un tema che possiamo approfondire; del male sappiamo soltanto che siamo stati noi stessi a costruire la macchina infernale con cui ci tormentiamo. Forse una scienza del bene e del male non è mai esistita e comunque qui e ora non c’interessa. La vera conoscenza non è una scienza – è, piuttosto, un via di uscita. Ed è possibile che questa coincida oggi con una tenace, lucida, svelta resistenza sul posto.

Fine dell’intervento, mi dà i pensieri all’alticcio. Praticare resistenza, immaginarla.

Otto consigli di Kurt Vonnegut

January 13th, 2025 by dbpoff

Per scrivere un buon racconto (del 1999)

  1. Fate in modo che i vostri lettori non pensino di aver sprecato tempo per leggervi.
  2. Date al lettore almeno un personaggio per cui possa fare apertamente il tifo.
  3. Ogni personaggio che si rispetti deve volere qualcosa, fosse anche solo un bicchiere d’acqua.
  4. Ogni frase deve fare una di queste due cose: rivelare il carattere di un personaggio o far progredire l’azione.
  5. Iniziate la narrazione il più possibile vicino alla fine.
  6. Siate sadici. Non importa quanto siano dolci e innocenti i protagonisti del vostro racconto: fategli accadere cose terribili, in modo che il lettore possa vedere di che pasta sono fatti.
  7. Scrivete per piacere a un solo lettore. Se spalancate la finestra e vi mettete a fare l’amore con il mondo, per così dire, alla vostra storia verrà la polmonite.
  8. Date ai lettori più informazioni possibili, il più presto possibile. Al diavolo la suspense. I lettori devono avere una completa comprensione di ciò che accade, di come e di dove, al punto che dovrebbero essere in grado di terminare da soli la storia nel caso in cui gli scarafaggi si mangino le ultime pagine.

Decalogo di Quiroga

January 13th, 2025 by dbpoff

Dieci consigli per scrivere un buon racconto.

  1. Credi nel maestro – Poe, Maupassant, Kipling, Cechov – come in Dio stesso;
  2. Pensa alla tua arte come a una vetta inaccessibile. Non sognare di dominarla. Quando potrai farlo, ci riuscirai, senza neanche accorgertene;
  3. Resisti quando puoi all’imitazione, ma imita, se l’influsso è troppo forte. Più di qualsiasi altra cosa, lo sviluppo della personalità è una scienza;
  4. Abbi cieca fede non nella tua capacità di trionfo, ma nell’ardore con cui lo desideri. Ama la tua arte come la tua ragazza, con tutto il cuore;
  5. Non iniziare a scrivere senza sapere fin dalla prima parola dove andrai a finire. In un racconto ben fatto, le prime tre righe hanno quasi la stessa importanza delle ultime tre;
  6. Una volta padrone delle parole, non ti preoccupare se siano consonanti o assonanti;
  7. Non aggettivare senza necessità. Inutili saranno tutti gli strascichi che tu aggiunga a un sostantivo debole. Se troverai quello preciso, esso, da solo, avrà un colore incomparabile. Ma bisogna trovarlo;
  8. Prendi i personaggi per mano e conducili con fermezza fino alla fine, senza badare ad altro che al cammino che gli hai tracciato. Non ti distrarre vedendo ciò che essi non possono o non sono interessati a vedere. Non abusare del lettore. Un racconto è un romanzo depurato di pleonasmi. Abbi questa verità per assoluta, quantunque non lo sia;
  9. Non scrivere sotto il dominio dell’emozione. Lasciala morire, e quindi evocala. Se sarai capace, allora, di riviverla come fu, sarai a metà strada del cammino dell’arte;
  10. Non pensare agli amici quando scrivi, né all’impressione che farà la tua storia. Racconta come se la narrazione non avesse interesse che per il circoscritto ambiente dei tuoi personaggi, uno dei quali avresti potuto essere tu. Non altrimenti si ottiene la vita nel racconto.

(1925, Oracio Quiroga – In Appendice a Bestiario, J. Cortazar)

Seconda scrittura

January 13th, 2025 by dbpoff

Qualche tempo fa mi ero messo in testa di scrivere un racconto lungo, se non proprio un romanzo – certo, non proprio un romanzo, insomma non ne avevo mai scritto uno e partire subito così, col botto, mi sembrava un fatto un po’ avventato, comunque sia mi son detto scrivo un racconto lungo per i miei compagni dell’università, e così alcuni mesi dopo ho fatto. La gestazione è durata abbastanza, poi lo scorso settembre mi sono imposto di mettermi a testa bassa per darci dentro per chiuderlo, perchè mi rendono inquieto le porte che rimangono socchiuse, le cose da fare che rimangono lì, in sospeso. E così ho fatto: l’ho scritto. L’ho scritto.

Prima di tutto, o meglio oltre a tutto, nonostante tutto, questo sito è uno spazio di riflessione sulla scrittura, uno sguardo di parole su quella cosa che è la scrittura. Come avviene, come s’inceppa. Cosa funziona, cosa è più facile e cosa è più complesso, cosa riesce e cosa no. Lo scorso settembre è stato un flusso, e a metà ottobre ero giunto alla fine della prima mano. Ero contento e sfinito. Avevo detto buona parte delle cose che volevo, strizzando duecento volte l’occhiolino a ciascuno dei miei – tre – amici. Sì, è vero, non si fa. Ma l’ho fatto, e del resto voleva fin dal principio questo testo esser una sorta di album fotografico di momenti divertenti avvenuti pressappoco realmente che ritrovassero posto in un racconto nuovo, diverso, una storia differente avvenuta nientemeno che nel futuro. Eh sì, perchè è un racconto ambientato nel 2071. Per arrivarci ho fatto il giro più breve, ma comunque mi sono sentito in dovere di scrivere la storia da oggi ad allora, gli eventi più significativi a livello geopolitico che sono avvenuti nel corso degli anni (siamo geografi, del resto) ecc ecc.

L’ho fatto, l’ho scritto. Non dico niente, forse un giorno lo pubblicherò a puntate qui, perchè no. Forse per salvare la sanità di chi non legge, o per non monopolizzare il tutto. Fatto sta che poi l’ho stampato in modo grezzo, ed ora mi tocca rimetterci le mani – la seconda mano – per poi serenamente dirmi contento e concluso, soddisfatto o meno poco importa. Oggi è il dodici febbraio, ho circa un mese di tempo per farlo. Non mi va molto, so che sarà faticoso. Mi chiedo: indugio su ogni frase, o per la maggiore me ne disinteresso? Bastone o carota? Da un lato c’è da sistemare del tutto la lingua, il fatto linguistico primario; dall’altro da aggiustare diverse questioni tematiche,

[il giorno dopo, le cinque e mezza. Inizio ora a lavorare, diciamo così. Eccoci. Insomma. Giornata di oggi: revisione auto, cambio gomme, pieno. Cinque piotte. Vai così. Al centrorevisione, comunque, alcune considerazioni utili – detti pensieri – sull’importanza della seconda scrittura. Mi sembra di dover rifare tutto, o quasi. Aggiungere tutto, o quasi. Curioso. La possibilità di scrivere la seconda puntata è quella di scrivere di nuovo la prima, aggiungendo tutto – o quasi – quello che manca, cosicchè si possa evitare del tutto o quasi una seconda puntata.

Devono succedere altre cose. Devo capire da che parte iniziare. Aggiorno presto.

La copertina è questa. L’ho disegnata a mano un giorno che non sapevo cosa fare, e non è che è molto bella, però riempie tutta la pagina e rende abbastanza bene le volontà caleidoscopiche del testo.

Gli uomini pesce

January 12th, 2025 by dbpoff

Inauguro la serie “un anno di libri” e augurando buon anno a chi legge queste pagine, mi propongo di tornare su questi lidi per dire volta per volta: ho letto questo libro, e poi questo, e questo e questo. Gli anni si accumulano e con questi anche i libri che a natale amici e parenti mi regalano. Ho deciso quest’anno di sgrossare la lista di libri regalati che non leggerò mai per inerzia, e di combattere la mia dipendenza con la lettura – e la scrittura, si vede. Non mi immagino granchè, perchè uso le dita tutto il giorno e arrivo a sera che sono bollito duro, e non so fino a che punto mi fa scrivere recensioni inutili. Comunque, vediamo come va.

di Wu Ming 1, Gli uomini pesce (Einaudi 2024). Regalo di P. Letto fra il ventinove di dicembre e oggi, il due di gennaio del duemilaventicinque.

Romanzo sul delta ferrarese, ma più su ferrara. L’autore è un uomo, la protagonista una donna, professoressa di geografia a Padova, all’università. Lo zio è un famoso cineasta che muore e si scopre che era trans, o meglio: non è che si scopre proprio del tutto. La Resistenza nelle Valli, i partigiani come “uomini pesce” ante litteram, un genere macedonia intertestuale che mi sembra sperimentazione ma non attecchisce granchè. La vicenda maestra, quella “al presente”, è ambientata nell’estate del duemilaventidue. Pagine di commenti alle misure anti-covid, il quale – il Covid – si fa fatto narrativo, accomunante con cui fare i conti nel raccontare la storia. Antonia, la geografa, Arne il musicista che fa musica elettronica con i rumori delle aree abbandonate – SonicAlly. L’intertestualità della fantasia di Wu Ming 1 mi ricorda certe fantasie che faccio in periodi poco lieti del mio tempo. Libri non scritti ma immaginati come esistenti e pubblicati, vicende nelle vicende… la trama è povera, l’ho già detto? Ciononostante, ci sono diversi elementi che funzionano, senza dubbio. La lettura scorre, anche se non è così godereccia. La parte che ho apprezzato di più è quella che riguarda la storia delle Valli, le ultime bonifiche degli anni Sessanta, il taglio di Porto Viro della Serenissima, del 1604, col quale il Po è incanalato verso Venezia… Seicento pagine di tante cose, non so se proprio quel “romanzo maestoso” che dice nel retro del libro. C’è di tutto, è un calderone pauroso. Il congedo dall’università… Stefania dietro l’angolo, lo scrittore Vuk Kandiski e altre boiollate che non so bene come pormi. Comunque, il primo è andato.

In altre parole.

Caro P., grazie del dono. L’ho letto subito, come faccio poche volte. Si fa leggere bene, scorre rapido come un torrente secco. Il suo essere quasi-nuovo, poi, è un pregio, perchè l’ho letto senza la paura di graffiarlo o sdrucciolirlo, essendo già vissuto di per sè. Che dire, ci credo tuo papà non l’ha apprezzato molto. Anche io non credo d’averlo apprezzato granchè, sebbene certi passaggi mi siano piaciuti, e comunque l’ho “divorato”, come direbbe qualcuno. Il giorno di Natale dello scorso anno, regalo dei miei zii – quasi una tradizione, l’avevo passato leggendo l’ultimo libro di paolocognetti. Uso il natale come occasione per ricominciare a leggere, e questo libro rappresenta il tentativo di questo natale in questo senso. Vorrei dedicare una mensola ai libri che leggo quest’anno. Beh, non molto da dire, in effetti. Lo sapevo già.

Buona così.

fuorirotta

June 17th, 2024 by dbpoff

confuso.

siamo stati a ravenna, questo fine settimana. siamo passati dalle terre basse, dagli argini del reno che portano fino alle valli di comacchio. alfo è partito dal centro di bologna, rava dalla ponticella, io da fuori budrio, l’ho attraversato e li ho trovati lungo una cavedagna, una sterrata a fianco d’uno scolo secco, l’erba tagliata lo stesso alta.

abbiamo pedalato a fianco al reno, a lungo. controvento, il corso del fiume a tratti increspato al punto da sembrare correre al contrario, dal mare in su. con il vento sempre contro, la fatica il sudore il sole che batteva forte, le braccia cotte. alfo ha faticato molto, alla fine era parecchio provato, ma tutti. così si chiude una stagione, l’ultima stagione di studi di un percorso – di studi – iniziato prima dei primi ricordi, la scuola è un tutto che quando ti ci abitui, quando ti accoccoli al pensiero di quella cosa da fare – le verifiche, gli esami, la tesi… – poi è difficile ricordarsi che c’è qualcosa oltre, più avanti, che c’è qualcosa che resta, che è rimasto sempre, tutto il tempo delle verifiche e degli esami e della tesi – che cos’è?

non ricordo. un sogno?

qual è il tuo sogno?

mi domando se mi ricordo qualcosa, se c’è resti – barlumi – di ricordi possibili, di qualcosa in cui ancora credo, o se è tutto andato perduto, se è rimasto solo cocci troppo piccoli per ritornare credibili. non so rispondere, già se apro credibilmente il discorso al me stesso fuori di qui è tanto – è apribile, il discorso?

è pieno di case abbandonate, lungo l’argine del reno. gente che se n’è andata, e non c’è più. questa è una di quelle più grandi, più grosse e più evocative, i cornicioni penzolanti, invaso dall’erba.vorrei tornare per riprendere, e farmi venire in mente cose interessanti al riguardo. e poi? e poi, vendere il prodotto di suddetto sforzo?

vuoi esser professionista in qualche campo? vuoi imparare un mestiere, e riprodurlo, lavorare?

lunedì notte. tenere contatto col terreno, sentire com’è andare avanti, non dimenticare che non si può non andare avanti, che tutto avanza, che siamo in divenire in ogni momento. che l’eterno è ora.

 

Al lavoro

May 6th, 2024 by dbpoff

Nell’orto tutto bene, tante piante sono a terra, nate dal seme: ho fatto tutto io, o quasi. è la prima volta che succede, mi sembra che sia primavera per la prima volta – ma la primavera è una fioritura, o piuttosto una rifioritura? Si nasce o si rinasce? Ci si sveglia o ci si risveglia? Chi sa qualcosa di più, a tal proposito, mi faccia sapere grazie.

Sono qui solo perchè cerco uno scritto, lasciato qui qualche tempo fa.

Cose successe? A febbraio, il nove, è morta la nonna. Di prima mattina. Ora ne scrivo così, come una nota, ma è stata dura, lo è tuttora in certi momenti. Adesso la casa è più vuota e più fredda, e c’è da fare i conti con questa cosa. Tutto si rimedia, tranne la morte, ho letto in un libro scritto da una Cornelia sopravvissuta all’eccidio del cimitero di Casaglia (il titolo del libro è: Vivere, nonostante tutto).

A marzo, l’undici, mi sono laureato. Con centodieci senza lode, con una tesi che poi non ho più riaperto, riguardato. Non l’ho spedita ai miei amici, non sono andato a prenderla dal copistaio – ho spedito ebi per me, il copistaio le ha detto di dirmi di passare a trovarlo, che mi offre un caffè. Siamo abbastanza amici, eppure non ci sono mai passato. Magari domani è il giorno buono.

Poi nient’altro, non siamo ancora andati a Fari (o Masti, come suona meglio?) dopo esserci cinti d’alloro il capo, non sono andato a trovare il Truce alla Ponticella, ma ho incontrato un tassista di nome Carlo Ghini i cui nonni abitavano la casavecchia prima dei miei nonni, dagli anni trenta ai primi anni sessanta. Vive alla ponza, era venuto a farsi un giro, a vedere com’era. Era su una moto grossa, abbiamo chiacchierato, è successo un po’ di tempo fa, un incontro particolarmente casuale quanto emblematico, significativo. Devo andare a trovare il Truce, a vedere come sta.

E poi… e poi, sto lavorando al testo che sia il dono di laurea per i miei tre amici di questi anni. Ho iniziato oggi, con certe trascrizioni diariali, e continuerà per tutto il mese ma spero non molto di più. A tal proposito, ecco tutto. A presto, magari

democrazia diretta

January 24th, 2024 by dbpoff

ciao a tutti: a chi legge, a chi non legge, a me che tornerò a leggere, qui, un giorno, annoiato, sfatto, triste, sull’orlo di un’ennesima crisi.
non so da quanto non passavo, ma non mi importa ora divagare sul solito tema che soggiace a questo blog invisibile: tempo che passa, è il suo nome in codice. i giorni scorrono, la pelle morta scivola via da noi, ci rinnoviamo biologicamente senza accorgercene, e così rimaniamo gli stessi. le cose da fare rimangono, si rimandano, la gente muore, non è questo il punto, ora.
è la prima volta che scrivo, quest’anno detto 2024, dunque auguri. e ci siamo

di ritorno dalla montagna, la sedia del mio studio è molto comoda. non sono ricco, solo borghese quanto basta: se leggi, bene o male condividiamo questa condizione. ci invidiamo a vicenda, forse, ma siamo pressappoco uguali. piacere di non esserci mai visti.
il mio studio è una stanza ricavata divenuta studio, ci sono una scrivania, molti libri, questa sedia molto comoda: in montagna non ce l’avevo, e ora che ci sto seduto sopra mi accorgo che è molto bello sedercisi.

attacco una tastiera meccanica al pc, per scrivere, che fa molto sovietico, macchina da scrivere, non so. è più facile fare refusi, con questa: il programma è tarato in inglese, così mi batte errore – le celebri lineette rosse sotto le parole – per ogni vocabolo italiano: se ci sono refusi, pazienza.

sto scrivendo la tesi, laurea magistrale. non dico quale, perchè non ho una personalità così spiccata, non mi importa dire chi sono, da dove vengo: l’anonimato invece mi preme, perchè è poco di moda, di questi tempi. il potersi nascondere quanto più, mi sembra sia quel poco che ci rimane. poi la gestapo del pensiero ci trova lo stesso, c’è una mail e qualche codice che conduce a questa casa, a questo studio, ma insomma, non dirò niente di perseguibile penalmente, anche se la sincerità è rischiosa, porta poca grana e molte grane, per lo più.

non dico l’argomento della tesi, l’università, la città, e via così. pensate a voi stessi, il vostro volto, i vostri occhi smunti su un dispositivo qualsiasi, la vostra città, il vostro sorriso un po’ avvizzito. stiamo invecchiando, ma non è questo il punto.

un quarto di secolo e qualche mese, certo per l’età media – … – sono fresco, ma poi ciascuno ha quel rapporto speciale con i suoi mali, il morboso relazionarsi alla propria malattia, le debolezze. oggi sono stato a correre. è stato bello. se non l’avessi fatto forse non sarei qui. ma neanche questo è il punto.

arrivo al punto. questa stanza è colma di libri, di cultura condensata, di parole addensate in volumi, se si mangiassero potrei sentirmi sazio per anni, in prospettiva. ma li mangia la mia testa che è limitata e via via, passa il tempo e quella gioca coi ricordi, dimentica in modo frazionato, trattiene la granaglia e perde il resto. per la maggiore, i libri si consumano come le caramelle, ci somigliano sotto molti aspetti.

affianco a me c’è un piccolo volume di murray bookchin, democrazia diretta. è piccolo, stretto, stringato, striminzito. scritto bene, scorrevole, a suo modo rivoluzionario – quest’espressione vomitevole è parte di quell’ovvio che ci lega gli uni agli altri, la uso per sentirmi in pace con l’idea di dire qualcosa di diverso da te, e da te, da voi. parliamo uguale, tutto sommato, e se mi distinguo, è perchè mio padre ha pagato le tasse dell’università ma io non studiavo e basta, ma anzi studiavo poco, e la maggior parte del tempo mi drogavo. non è il punto.

è un libro secco, ma non riesco a leggerlo. l’ho preso in biblioteca, l’ho posticipato perchè mi scadeva, ho troppi libri intorno e non riesco quasi a leggere. santo dio, è così. bulimia del cielo, non si riesce a leggere all’idea di aver troppo da leggere.

per me del futuro: come va ora? è un po’ migliorata la situazione ora che la prestazione è giunta in fondo, il titolo è in saccoccia, la corona sulla testa – di cazzo – e il costume da straccione l’hai indossato, per festeggiare la tua vanità?

fammi sapere. nient’altro da riferire. l’appennino è un bel posto, ti consiglio di andarci più spesso. la pianura ammazza più lentamente, ma un po’ alla volta ti prende tutto, ti asciuga e ti lascia come un accozzaglia di doveri inesausti. l’uomo di pianura è una mezza calzetta, le cose gli avvengono intorno ma lui non sa come né perchè, sa solo che deve andare a lavorare e che ha sempre molto da fare. auguri, buon anno, buona fine stesura della tesi. aggiorno sul come va: allego foto della proclamazione. buonanotte

Passaggio rapido

October 24th, 2023 by dbpoff

da quanto che manco! ormai non so più chi sono, chi scriveva, chi sta scrivendo, chi scriverà in futuro quando sarò passato – e se muoio, come si fa a entrare qui, e chi ci entrerà, e cosa capirà di questo spazio senza niente senza senso senza una pagina che spiega chi sono cosa voglio e per chi tifo?
scrivo la tesi con la finestra che dà sull’orto e sui campi e sull’uggia di questa stagione che forse è più calda del solito forse incerta non piove quasi mai ma il suo nome resta lo stesso: au-tun-no.
mancano le poesie da parecchio – le licenze scadute da un pezzo, la poetica da rinnovare patetica è rimasta a snocciolare boiate con gli alcolizzati che gli stanno intorno e quando si distrae gli bevono pure il suo vino.
il braccio meccanico che regge il mic è appassito, avvizzito, non registro da un pezzo, temo di dimenticarmi come si fa, cose che imparai a fatica, con la lungaggine degli anni di chi non è veramente appassionato alle cose, ma solo debuttante, così con un piglio amatoriale – i tossici si nutrono di questa pasta essenziale, il non mettercisi del tutto, ma solo quanto basta, prima dell’ennesima bomba in vena.

non so che dire, un tempo scrivevo mentre sentivo lezioni via web, ora non ci sono più, sono cresciuto ma non abbastanza per andare a lavorare, sto qui nell’età ideale in cui ti svegli alle nove del mattino con la bocca impastata e puoi non lavarti i denti ad oltranza per vedere cosa succede, poi, in fondo. seguo dei sedicenni che non conosco mi stanno sul catso ma non posso dirglielo, e piuttosto ogni tanto sovente esclamo loro guardandoli: che bello il mondo ragazzi, che bel-lo! fatevi un cannone ogni tanto, ma solo ogni tanto, così starete meglio

[se c’è una cosa che non sopporto, quella è l’entusiasmo]

CB: La «Macchina»: non si sfugge dal congegno della Macchina, non soltanto in catena di montaggio. Non si è mai fuori dalla Macchina nemmeno in solitudine, in amore, a tempo «libero», in vacanza, ecc… e nell’entusiasmo, il più letale fra gli elementi pseudomacchinici, l’entusiasmo. l’idea che un momento o un altro qualcosa ti riprenderà il cuore e ti sveglierai e ti convertirai, come: una conversione, o le storie degli adulti che incontri coi ragazzi e ti raccontano che stavano andando per la loro strada e poi si sono redenti, caduti dalla moto incontrando robert poulet sulla via di gazacity hanno sgranato gli occhi e visto per la prima volta la luna e il sole insieme in un groviglio groviera di miele. l’entusiasmo, dannazione! forse ho scritto righe uguali anni fa.

cosa serve questo blocco appunti digitale perpetuo? fra un po’ di tempo, se non salta l’internet, per riguardarmi nelle mie manie mentali, nei meandri irrisolti e incompiuti, nello ‘sfogo’ più bieco, come quando stacchi la testa e ti proponi di scrivere quello che viene e niente di più. non c’è un senso, dietro, una logica forte, una dinamica di relazione o d’irrelazione, d’esclusione, di appartamento: non ci sono strizzate di occhi, solo tristezza non detta.

anche quando esco, quando salvo e pubblico e me ne vado, certo resto qui, in questa nebbia padana frustrata irrisolta non detta, l’inverno ci aspetta e saremo più dentro o più fuori? se trovo il coraggio rileggo qualcosa di questo. ho fatto molti kilometri da gennaio ad oggi, avanti e indietro per la penisola trovando o perdendo cose amici senso e similitudini. ci rivediamo prestassaj

Dipende n ze

January 25th, 2023 by dbpoff

Postilla di passaggio fra il pensieroso e quel tempo del limbo che si perde prima di andare a dormire: quando dai un taglio ad una dipendenza – fisica e sostanziale, mettiamo, ecco che affiorano tutte le altre, un po’ alla volta, coi loro malesseri connessi. Ecco i socialnetwork che ribussano alla porta, ricordandoti che c’erano prima loro, ad innaffiarti l’esistenza di sibilanti ossessioni sibilline. Dieci anni fa c’era ancora qualcosa d’interessante, poi ci siamo scoperti tutti dei guardoni, dei mezzi stalker, e poi oggi quel blu di sfondo che qualcuno, a suo tempo, ci disse istigava la dipendenza, ma noi non sapevamo mica cosa farcene, come rispondergli, che se davvero era così, cos’avremmo potuto farci? a quel tempo faccialibro proponeva una gamma di colori possibili, con cui personalizzare ciò che avrebbe ipnotizzato il nostro sguardo [i social hanno sperimentato tante cose, sotto i nostri occhi, grazie ai nostri occhi, ma di volta in volta le modifiche e le sperimentazioni non lasciavano un segno, se non labili tracce nella memoria incosciente; sperimentazioni umane in questa scienza della vita da ormai anni trascorsi], ma poi non se n’è fatto niente, tutto è tornato al monocromo blu dipendenza, una storia vecchia e stinta, ci torno controvoglia, in preda alla noia, ed è un brulichio altalenante fra i contenuti sponsorizzati e quelli ‘consigliati per te’, perché il piccolo mondo che ti sei costruito intorno negli anni è andato appassendo, alcuni sono morti ma neanche lo sai, e nessuno pubblica più granché, così non mi resta che mostrarti ciò che credo possa interessarti, e tu ti interessi perché hai un disperato bisogno di trovare qualcosa che desti il tuo interesse, susciti la tua attenzione bramosa di chicche, curiosità da quattro spicci che potrai rivenderti domani, all’ennesima pausa-studio consumata una dopo l’altra in compagnia di gente che non conosci, ed eppure la senti vocicchiare senza sosta, l’ascolti a malapena ma non vedi l’ora di straparlare, di dire la tua – la rivisitazione rimasticata della boiata che faccialibro ti ha suggerito pensando potesse interessarti, ma per lo più sei tu che hai scelto che ti sarebbe interessata, quasi a qualsiasi costo.

E’ il vecchio che avanza, ci torni con un misto fra lo sdegno e la nostalgia, pubblicano stati soltanto vecchi compagni che ancora trovano qualche emozione nel vedere crescere il numero dei mipiace alle loro farneticazioni, alle loro disillusioni tristi messe in piazza. Ci torni perché c’è una parte di te, racchiusa fra le pareti impalpabili di quel profilo fattosi un giorno, d’improvviso diario, senza realmente volerlo, che si potesse scegliere. C’è tanto di te, tracce insperate, parti della tua storia, emozioni e tempo speso a cercare un riconoscimento, un posto in quell’etere pallido e smunto. Ci torni perché non sai dove andare, come apri whatsup [che tradotto in lingua italica suona cos’è successo? cosa c’è di nuovo? scoperta di adesso che sarà ben presto dimenticata, ed eppure ha un significato non da poco] perché senti il bisogno di dire, o sentirti dire, qualcosa da qualcuno, quasi qualsiasi. Ritorni perché cerchi qualcosa che un tempo trovavi, e ora non sai più dove cercarlo, e allora ci riprovi, per l’ennesima volta, ma ne esci ogni volta sempre più incupito e scippato del tempo della tua giovinezza che se ne va.

Ritorni, perché neanche più puoi bere, per ordine del medico, e a fumare neanche a parlarne. Ritorni, perché vorresti sapere che fine ha fatto quell’amico di un tempo – caro Pietro, chissà che fai adesso, se vivi ancora là, se sei buono come allora, quasi coglione, tanto eri buono, e un giorno hai cambiato scuola e non ci siamo visti più, se non anni dopo, ma c’era del disagio, e quello è rimasto a impregnare l’aria e i ricordi di te -, chissà com’è diventata quella, se ha preso la strada della palestra o quella della cucina, chissà.

Ci torni perché non sai dove andare, e ogni volta che esci è come prima, e in più non capisci dove sei. E l’idea di eliminarti per sempre è come lasciare una parte di te, fa strano, stranissimo. Siamo paralizzati e non riusciamo a rendercene conto.
E’ tempo di far su i nostri stracci, trascrivere quei pochi ricordi, lambiccare un po’ per dare un taglio a quella pagina del nostro passato. Al passato grazie, al futuro… [continua]

(Laverna, 30 dicembre 2022)