Dis/connessioni ed Elezioni. Alcune note e un saluto

“La terra reagisce alle azioni dell’uomo, la terra non ha un’anima”, dice quel professor ingegnere che si segue sul divano, mentre si lancia in una digressione (“più o meno divagazione sul tema”) sugli esiti catastrofici del surriscaldamento del geoide terrestre, con fuori i primi freddi che sopraggiungono, il cielo bianco lattiginoso che profuma di silenzio e porta con sé incrollabili fragilità esistenziali, chiede silenzio e finisce frantumato in una barcamenata di banalità che sgorgano dal dispositivo/palla al piede del detenuto: in qualsiasi momento, abusando del suo presunto potere, egli può dire “quelli da casa scrivano il loro nome adesso”, al fine di dimostrare la loro presenza nell’adesso richiesto. Ma fra poco finisce, come tutte le cose.

1. È già giovedì!, direbbe qualcuno, e lunedì è passato portandosi dietro alcune cose che sono successe e in qualche modo significheranno, più sul possibile futuro, sul presente che sarà – posto che il futuro oggetto del lavorìo della tecnica è inconoscibile, immutabile nella sua razionale programmaticità, scriverebbe Ellul pressappoco; le elezioni in certe città fra cui Bologna (“la città più progressista d’Italia”), l’irraggiungibilità del trittico delle piattaforme di Zuck – nonché delle dichiarazioni di quell’ex-dipendente, che ci interessa meno in ragione della contingenza della circostanza (e non sarà oggetto d’approfondimento di questo piccolo scritto) – dalle cinque e mezza a mezzanotte e mezza, pressappoco, almeno in quest’angolo del mondo: i messaggi su whatsapp non si spedivano, la home di fb non si caricava e tutti quelli che conosciamo perché esistono dentro lo schermo di insta… spariti nel nulla. È un evento particolare [era successo il 19 marzo scorso per un’ora, e prima il 13 marzo 2019 – il blackout più lungo (circa un giorno) scrive repubblica], per tante ragioni. Il rapporto fra il reale e il virtuale, la stabilità del virtuale e la relativa conseguente instabilità precarietà, la significanza in senso lato delle implicazioni individuali quanto sociali, la possibilità che un giorno riaccada e lo spegnimento dilaghi ad altri siti e l’epidemia di cecità che allora colpirebbe baluardi, componenti essenziali nel nostro modo di concepire e pensare internet oggigiorno. S’è detto tante volte – spesso banalizzando, o comunque in questo modo evitando di approfondire altro, qualcosa di nuovo – che facebook non è internet, (e google anche), non s’è detto: un giorno può saltare l’uno, un giorno può saltare l’altro. E se salta teams e le lezioni online? E se salta google per davvero? E se saltano quelli che per mancanza d’alternative credibili continuiamo – qui, almeno, per un altro po’, ma prima o poi approderemo a “meglio di così” – a chiamare media, quei siti d’informazione che danno una forma alla popolazione di questa fascia di mondo? Se salta chi informa i fatti sui fatti?

Come detto, le questioni e le implicazioni sono svariatamente variegate, tristemente molteplici [torneremo sul concetto di molteplicità ben presto e una disposizione altrimenti altra, senz’altro, per fortuna], e per adesso ci limitiamo a metterne un poco a fuoco due, rigorosamente in forma “di bozza”, in itinere. La prima riguarda l’effettiva stabilità materiale delle piattaforme: a fine gennaio 2018, al WEF di Davos, Soros si riscopriva un paladino democratico e le descriveva come un “ostacolo all’innovazione” e allo sviluppo del mercato e della concorrenza, in ragione delle loro tendenze monopolistiche, nonché (circa) ‘come danno per la tenuta della democrazia, minaccia per la libertà di pensiero individuale’ et similia; infine dichiarava ad esse battaglia sul piano fiscale:

“[…] È solo una questione di tempo prima che si rompa il dominio globale dei monopoli statunitensi sulle tecnologie dell’informazione”

Fine gennaio 2018. Ormai quattro anni dopo, il lockdown informatico d’una parte importante della comune concezione dell’internet mostra una discreta quantità di polvere sotto il tappeto, fantasmi e scheletri che – una volta di più – rendono la riflessione sulla tecnica d’una attualità scottante. Questo soprattutto perché all’antipodo della vicenda, al vertice del cucuzzolo l’intraprendente Zuck parla e pensa – immagina – nei termini di Metaverso [consigliato è quest’interessante articolo di Ryan Zickgraf che introduce alla questione]. Se da un lato il “farsi oscuro” delle tre giganti piattaforme può esser interpretata – a seconda del punto di vista, nonché dell’occhio di chi guarda – come un guasto o come una guerra in corso fra grossi (grossi grossi) possessori di capitali, altrettanto distopico e attualmente oscuro – in quanto se ne sa poco e soprattutto poco si immagina – è l’orizzonte in direzione e in funzione del quale opera e ragiona il precursore del social network di massa, concettualmente all’incirca un “Internet incarnato, [nel quale] invece di visualizzare i contenuti, ci sei dentro”. Il passo più interessante è il parallelismo con Snow Crash, romanzo di Neal Stephenson del 1992 dal quale lo stesso termine “metaverso” è mutuato. In sostanza, con la linea di demarcazione fra il reale e il virtuale che sfuma sempre più fino a farsi un dettaglio accessorio (l’autore cità l’iperrealtà teorizzata da Baudrillard, quando “realtà e simulazione si fondono così perfettamente che non c’è una chiara separazione tra i due mondi”), compare la categoria dei gargoyle, esseri che

“Non finiscono mai una frase. Sono alla deriva in un mondo disegnato a laser, scansionano retine in tutte le direzioni, controllano chiunque si trovi nel raggio di un migliaio di metri, vedono tutto contemporaneamente alla luce visiva, agli infrarossi, al radar a onde millimetriche e agli ultrasuoni.” [dal romanzo di Stephenson, citato nell’articolo]

Sono quella categoria vagamente postumana che finisce con l’aderire acriticamente e ciecamente ad ogni dettame votato all’innovazione, al progresso, al dominio della tecnica sull’essere umano. L’uomo è l’essere sacrificabile [homo sacer] immolato (“votato”) sull’altare del capitale.  Verrà il giorno d’uno scontro definitivo e costituente fra gli aderenti – che allora saranno necessariamente utenti/adepti – e la nuova resistenza dei “rimasti umani”? Non ci resta che vivere e stare a vedere.

2. Le elezioni. Non mi va di scrivere granché, così incollo questo testo preso dal profilo fb di Davide Blotta – in allegato stanno alcune toccanti fotografie che consiglio ai curiosi. Non c’è poi tanto da aggiungere, si potrebbe, ma magari un’altra volta.

2015 Sgombero di Ex Telecom (280 persone, 100 minori)
2015 Sgombero di Atlantide
2016 Sgombero delle famiglie dello stabile di Via de Maria
2017 Sgombero Galaxy (31 Famiglie)
2017 Sbombero O.Z. Il più grande skatepark indoor d’Europa. Postazione preferita di B.U.M (Bologna Underground Movement). Ora fa parte dell’Unipol.
2017 Sbomberi di Labas e Crash! Eseguiti nella stessa ora, alle 6 del mattino di martedì 8 Agosto. Una mossa da veri leoni. Labas prenderà una cantonata talmente forte da non riprendersi mai più. Oggi infatti è una parrocchia. Ah, fino a poco tempo fa ti davano i sacchetti dell’umido.
2019 Sgombero di Crash!
2019 Sgombero di XM24 avvenuto alle 5 di mattina del 6 Agosto. La giunta PD ha la simpatica idea di impiegare una ruspa per cacciare via gli attivisti. Era il periodo in cui scimmiottare Salvini ti faceva vincere qualche consenso alla briscola del Pontelungo.
Gli attivisti rimangono sui tetti, c’è chi si lega in piscina, c’è chi si appende al soffitto. Si fa avanti un certo Lepore, un ragazzone come lo chiamano quelli dell’Estragon (Estragon, a dire la verità nessuno si ricorda più di voi. Sarà che non ascolto più i Green Day ma nella mia testa eravate sepolti. Una cosa mi ricordo, a 16 anni mi faceste pagare 4 euro l’acqua nel vostro locale. Spero riapriate presto) Lepore promette agli attivisti che se fossero scesi avrebbe firmato seduta stante l’impegno ad assegnare a Xm24 una nuova casa. Lepore non era il rappresentate di classe della 5b, Lepore, come da ultimi 10 anni, ha l’incarico su Cultura e Turismo di questa città. Attenzione, il personaggio lo conoscevamo. Prima di allora si era infatti presentato con l’idea di salvare i muri esterni del centro sociale perché gli piacevano i graffiti. Grazie, rispondemmo, che ne pensi della piscina invece?. Alla fine della storia propose di istituire un museo della Bologna punk con quegli stessi muri. Sarà perché gli anarchici non vanno matti per i musei, specie se sono loro le opere gratuite, ma la proposta fu accolta con la cancellazione dei graffiti e con la comunicazione scritta di quel che loro pensavano dell’intera idea: all’inizio si optò per scrivere vaffanculo, poi la maggioranza votò per una scritta di 30 metri che recitasse ‘questo cohousing è una cagata pazzesca’. Museo rovinato, la scritta è ancora lì.
Qualche mese più tardi il posto che viene assegnato a Xm24 si trova nei pressi di Imola, non ha l’attacco della luce e si può raggiungere solo a piedi. Frequentavo XM in quel momento e mi ricordo che il posto offerto non piacque molto.
2020, Febbraio. Nella notte ricevo una telefonata. Finisco di lavorare e mi reco all’Excaserma Sani. Fotografo lo sgombero della palazzina che è ancora buio.
Con l’eccezione dell’ex Telecom, in tutti questi posti sgomberati ora ci fanno le assemblee i topi. Alcuni vengono anche da fuori.
L’ex Telecom è il mirabile esempio di quello che oggi definiamo lessicalmente come baratro. Uno studentato che vende camere doppie a 600€. È felicemente abitato da un gruppo di ragazzotti bianchi panna che amano sputare in testa ai passanti e agli attivisti contrari allo sviluppo del lusso in un quartiere povero.
2021 Apre Dumbo, ovvero un capannone. Viene chiamato oggi il centro sociale di Matteo Lepore. In questo capannone aperto con soldi pubblici si può ascoltare tranquillamente un concerto di Jennifer Lopez ma attenzione a farsi venire sete perchè altrimenti devi pagare l’acqua. Ripeto, devi pagare l’acqua. In altenativa ci sono dei simpatici drink, o meglio delle poltiglie colorate, a 9 euro l’uno. Non ti preoccupare, accettano anche carte di credito: mai esistito un capannone così comodo.
Non mi importa nulla delle elezioni, non mi importa nulla di chi votate, vi considero amici come il primo giorno che vi ho conosciuto. Sono molto triste, questo sì.
Abito da 24 anni nel quartiere Reno, un agglomerato urbano di tipo popolare costruito in seguito all’immigrazione dei meridionali nella periferia ovest di Bologna. Ora siamo meridionali, indiani, pakistani, cinesi, rumeni. Conviviamo bene e ci somigliamo un po’ tutti. Nel mio quartiere ci sono più compro oro che fermate del bus. Parliamoci chiaro, ne abbiamo parecchie di fermate di bus qui. Chi va a fare colazione nei nostri bar può assaggiare il cornetto inzuppato alle tonnellate di anidride carbonica della via Emilia. Ci sono parecchie slot machine. Mi ricordo che quando andavo in centro da piccolo mi chiedevo perchè lì mancassero, e mi sembravano un po’ sottosviluppati quelli di saragozza che non avevano neanche un posto in cui giocare ai cavalli. Ecco, da noi almeno si può scegliere, ci si può ammalare di gioco d’azzardo oppure di cancro per via delle polveri sottili. Ecco, secondo me Sartori è del quartiere Saragozza perchè a noi questa idea del frisbee, io ho provato a fare mente locale, non ci è mai venuta in mente. E’ per questo motivo che non posso sopportare il nostro futuro assessore alla cultura, ho un problema di circoscrizione.
A questo punto, governate, fate quello che volete. Ma non interessatevi più di noi, non interessatevi più di cultura, storia e società. Costruite questo benedetto campo da fresbee, costruite tutte le fiere del cibo che volete ma lasciateci in pace. Lasciate stare i poveri. Noi non sappiamo che farcene di voi e voi non sapete che farvene di noi.
Chiedo scusa se ho ferito qualcuno/a, sarà che oggi non mi sento molto super.

(dal profilo di Davide Blotta)

Per oggi può bastare così. Per chi non ne avesse abbastanza, un articolo su zero dal titolo “L’insostenibile leggerezza dell’eventificio Bologna”: un’altra questione urgente.

[ps. queste riflessioni frammentate sono dedicate a Jamil, il palestinese di al Salam di via 100300 che a fine settembre se n’è andato da questa terra, presumibilmente in un posto migliore; ricordo un paio di belle chiacchierate, in quei casi era sempre Gio che aizzava la conversazione. Mi rendo conto adesso del dono prezioso di quei momenti, che non torneranno, sperimento un’impotenza disarmante e mi consolo al pensiero d’una flebile manciata di ricordi belli. Arrivederci, signor Jamil venuto dalla Palestina]

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