Archive for October, 2021

Miti d’oggi

Wednesday, October 13th, 2021

Premessa

I testi che seguono sono stati scritti mese per mese nel corso di due anni, dal 1954 al 1956, dietro il richiamo dell’attualità. Tentavo allora di riflettere sistematicamente su alcuni miti della vita quotidiana francese. Il materiale di questa riflessione ha potuto essere molto vario (un articolo di giornale, una fotografia di settimanale, un film, uno spettacolo, una mostra), e il soggetto molto arbitrario: si trattava evidentemente della mia attualità.
Il punto di partenza di questa riflessione era il più delle volte un senso di insofferenza davanti alla «naturalità» di cui incessantemente la stampa, l’arte, il senso comune, rivestono una realtà che per essere quella in cui viviamo non è meno perfettamente storica: in una parola soffrivo di vedere confuse ad ogni occasione, nel racconto della nostra attualità, Natura e Storia, e volevo ritrovare nell’esposizione decorativa dell’«ovvio» l’abuso ideologico che, a mio avviso, vi si nasconde.
La nozione di mito mi è parsa sin dall’inizio render ragione di queste false evidenze; intendevo allora il termine in senso tradizionale. Ma ero già persuaso di una cosa da cui in seguito ho cercato di trarre tutte le conseguenze: il mito è un linguaggio. Così, occupandomi dei fatti in apparenza più lontani da ogni forma di letteratura (un incontro di catch, un piatto cucinato, una mostra di oggetti in plastica), non pensavo di allontanarmi da quella semiologia generale del nostro mondo borghese di cui avevo affrontato il versante letterario in saggi precedenti. E solo dopo aver osservato diversi fatti di attualità ho tentato di definire metodicamente il mito contemporaneo: testo che beninteso ho lasciato alla fine di questo volume in quanto non fa altro che ordinare sistematicamente materiali precedenti.

Scritti di mese in mese, questi saggi non tendono a uno svolgimento organico: il loro legame è di insistenza, di ripetizione. Perché non so se, come dice il proverbio, le cose ripetute piacciono, ma credo che almeno significhino. E quanto ho cercato in tutto questo sono delle significazioni. Saranno le mie significazioni? In altre parole, ci sarà una mitologia del mitologo? Indubbiamente, e il lettore vedrà da sé la mia scommessa. Ma veramente non penso che la questione si ponga proprio in questi termini. La «demistificazione», per usare ancora una parola che comincia a logorarsi, non è un’operazione olimpica. Voglio dire che non posso consentire alla tradizionale opinione che postula un divorzio di natura tra l’oggettività dello scienziato e la soggettività dello scrittore, come se uno fosse dotato di una «libertà» e l’altro di una «vocazione», ambedue atte a schivare o a sublimare i limiti reali della loro situazione: pretendo di vivere pienamente la contraddizione del mio tempo, che di un sarcasmo può fare la condizione della verità.

R. B.”

Roland Barthes. Mythologies, 1957, (trad. it. Miti d’oggi, Einaudi 1970), premessa introduttiva.

 

The Great Disruption | Fine o trionfo dell’astrazione – di Franco Bifo Berardi

Thursday, October 7th, 2021

 

Un testo di Bifo pubblicato il 6 ottobre su effimera. Toccante e significativo anche lo scritto precedente, Destino Manifesto, reperibile a questo link.

In Gran Bretagna mancano centomila camionisti per soddisfare i bisogni del mercato. Le merci scarseggiano nei negozi, file di auto per comprare la benzina. Negli Stati Uniti secondo il New York Times (Matt Phillips: Wall Street is obsessed with the price of used cars, October,1) il prezzo delle automobili usate cresce alle stelle perché la produzione di auto è paralizzata.

Durante la pandemia la gente ha preferito i trasporti individuali piuttosto che quelli pubblici. Ma la produzione di auto è stata ridotta, molte fabbriche hanno quasi interrotto la produzione per proteggere dal virus gli operatori, che lavorano in spazi molto ristretti. Inoltre la limitazione nelle forniture di chip elettronici, dovuta a limitazioni simili ha impedito ai produttori auto di tornare alla produzione normale per tutto questanno. Così i consumatori si sono fondati sul mercato dellauto usata catapultando i prezzi verso lalto.

Questi sono solo due degli innumerevoli esempi di un fenomeno che sta esplodendo, e non è solo effetto della pandemia, ma anche del caos sistemico che sta investendo il daily business of life in tutto il pianeta. Il caos della disintegrazione del ciclo globale delle merci, il caos geopolitico prodotto dalla simultanea disfatta afghana dell’Occidente e l’apertura di un nuovo fronte di guerra che punta a mettere sotto assedio la Cina.

Non si tratta di una crisi economica come quelle del secolo passato: non si tratta dell’esplodere di una crisi finanziaria che investe l’economia reale.

Al contrario finora i mercati finanziari godono di buona salute, e gli indici della ripresa post-Covid sembrano buoni in molti paesi, come l’Italia, anche se non siamo affatto in un’era post-Covid, perché il vaccino non sembra aver sconfitto il virus.

Sulla scena del mondo all’inizio del terzo decennio del secolo si svolgono in contemporanea due processi, per effetto della pandemia. Da un lato assistiamo al collasso dell’astrazione, alla perdita di controllo dell’astrazione sulla realtà concreta: un’entità materiale sub-visibile e proliferante ha mandato in tilt il sistema semiotico che sorreggeva l’economia globale.

Il virus è un’entità di confine tra sfera biologica e sfera informazionale. Il bio-virus perciò si è trasformato in un info-virus che ora agisce come psico-virus, infettando la mente collettiva.  L’astrazione finanziaria non ha potuto in alcun modo contenere governare o dissolvere gli effetti del virus, e non è in grado di agire sulle forme psichiche in cui la mutazione virale si manifesta.

Però allo stesso tempo assistiamo a un paradossale trionfo dell’astrazione: la sfera astratta della computazione e della finanza si separano in modo radicale dalla vita quotidiana e dal ciclo di produzione e distribuzione delle merci.

Due tendenze apparentemente incompatibili si manifestano al medesimo tempo: il ciclo globale della produzione è interrotto in molti punti, il caos si diffonde nella catena integrata della distribuzione (great supply chain disruption) la disoccupazione cresce, dovunque la società si impoverisce, il lavoro si precarizza, i salari scendono. Contemporaneamente però il sistema borsistico è caratterizzato da una tendenza al rialzo, e le grandi compagnie del ciclo digitale realizzano enormi profitti rafforzando il dominio dell’assenza sulla presenza.

Così si manifestano due tendenze in parallelo e in contrasto: l’astrazione è stata privata della sua potenza da una sub-visibile concrezione materica, da un virus che prolifera nel corpo sociale fino al punto di interrompere la compatibilità del corpo con l’automa. Al tempo stesso però l’astrazione accentua la sua indipendenza e la sua esteriorità rispetto alla vita sociale concreta. Non so se questa sconnessione schizofrenica sia destinata a durare a lungo, ma possiamo aspettarci che la più grande bolla finanziaria di tutti i tempi sia destinata a esplodere in qualche futuro.

Poiché l’astrazione – cioè il sistema interconnesso degli automatismi tecno-finanziari e dei flussi di informazione – diviene sempre più incapace di interagire con il collasso della materia organica, psichica e sociale possiamo aspettarci che a un certo punto l’intera macchina globale collassi, trascinando con sé la matematica di scambio astratto di nulla con nulla.

Mentre il profitto cresce, si disgregano le giunture della vita civile.

Great Supply Chain Disruption

Cerchiamo di vedere più da vicino il collasso del ciclo concreto della riproduzione sociale. La ripresa della domanda non dipende soltanto da fattori economici, né da un intervento finanziario, o dalle iniezioni di liquidità delle banche centrali che suscitano un’attesa quasi messianica a mio parere destinata a essere presto delusa. La ripresa della domanda dipende anche e soprattutto da scelte culturali, aspettative psicologiche, e in ultima analisi dall’oscillazione psichica che la pandemia ha provocato e che andrà dispiegando i suoi effetti patogeni nell’arco di un periodo molto lungo. L’astrazione tecno-finanziaria non ha presa sulla concretezza del biologico, e dello psichico.

Uno degli effetti dell’interruzione virale del cicli economici è il collasso della globalizzazione, che già era stata attaccata dal ritorno del nazionalismo. Negli ultimi tempi si manifesta un fenomeno completamente nuovo, almeno nelle dimensione attuali. Alcuni la chiamano Great Supply Chain Disruption: scoordinamento e rottura della sincronizzazione del ciclo globale di produzione e distribuzione di merci.

In un articolo dal titolo The world is still short of everything. Get used to it scrivono sul New York Times

Ritardi, mancanza di merci e prezzi crescenti continuano a incasinare gli affari grandi e piccoli. I consumatori si trovano a fare i conti con unesperienza che un tempo era rarissima: alcune merci non sono disponibili, e non si sa quando potranno ritornare. Di fronte a una prolungata mancanza di componenti elettroniche la Toyota ha annunciato il mese scorso di ridurre del 40% la produzione di auto. Le fabbriche in tutto il mondo stanno limitando le loro operazioni, nonostante la domanda di beni, perché non possono comprare parti meccaniche, plastiche e altri materiali grezzi. Le compagnie di costruzione pagano molto di più per avere materiali e sono costrette ad aspettare settimane e talvolta mesi per ricevere ciò di cui hanno bisogno. La Grande Interruzione della Catena di Fornitura è un elemento centrale dellincertezza straordinaria che continua a incastrare le prospettive economiche in tutto il mondo. Se queste interruzioni continuano nel prossimo anno si potrà determinare un aumento dei prezzi in ogni ambito del mondo delle merci. Il mondo sta così imparando una dolorosa lezione su come sono interconnessi i processi produttivi su grandi distanze.

Il fenomeno qui descritto è diverso dalle crisi del passato che riguardavano il rapporto tra sfera industriale e sfera finanziaria: si tratta qui di una sconnessione della catena fisica della produzione, un effetto di caos provocato dalla pandemia e rafforzato dal collasso geopolitico che dopo Brexit e trumpismo sta sconvolgendo l’ordine globale.

Un container che non può essere caricato a Los Angeles perché molti trasportatori sono in quarantena è un container che non porterà la soya in Iowa, lasciando in attesa i compratori in Indonesia e potenzialmente facendo scarseggiare il foraggio per animali in Asia del sud. Un blocco inatteso negli ordini di televisioni in Canada o in Giappone accentua la mancanza di chips per computer costringendo i produttori a rallentare le linee di produzione dalla Corea del sud alla Germania al Brasile. Non si vede una uscita da questa situazione dice Alan Holland, esecutivo di Keelvar, una compagnia che ha sede a Cork, irlanda, che produce software per il controllo di catene di produzione. Potrebbe durare a lungo.

Interessante, no? Per decenni il capitale ha garantito il funzionamento integrato della distribuzione globale, ha stimolato consumi per gran parte inutili e dannosi, e ha compensato la miseria esistenziale con una fornitura costante di merda consumistica. Ma ora questa compensazione si sta sgretolando. Il prezzo dei trasporti marittimi dagli USA ai paesi asiatici si è moltiplicato per dieci volte nell’ultimo anno, e dall’aprile del 2021 il prezzo del gas e dell’energia elettrica sta crescendo vertiginosamente in tutti i paesi europei. La sconnessione dei cicli globali si manifesta con effetti di caos nell’economia globale. Il capitalismo entra in una fase caotica dalla quale difficilmente potrà uscire usando le leve della finanza e dello stimolo monetario, perché questa situazione di caos dipende dalla sfera del concreto, dei corpi che si ammalano, delle menti che impazziscono, delle appartenenze che si svincolano dal globale.

Comincio a pensare che dovremo presto accorgerci di un fatto sconvolgente: il denaro, che le banche centrali si preparano a versare nel calderone delle economie occidentali, sta perdendo il suo fascino e la sua efficacia.

E possiamo immaginare per il futuro la formazione e la secessione concreta di comunità autonome che garantiscano l’alimentazione, la cura, e l’educazione. Comunità fondate sul principio dell’uguaglianza e della frugalità, sul primato dell’utile rispetto al denaro.

Europei a Americani stanno aspettando la salvezza dai trilioni di dollari e di euro che le banche centrali promettono di iniettare nel corpo agonizzante dell’Occidente. Ma il denaro non serve ad animare un corpo depresso, psichicamente fragile, e forse moribondo.

Scismogenesi vuol dire morfogenesi per separazione. Nascita di organismi autonomi da un insieme che è diventato tossico. Forse questa è la direzione in cui stiamo dirigendo.

Il problema è però se la soggettività sociale sarà in grado di esprimere autonomia, cosa che al momento appare abbastanza improbabile. Quel che prevale sulla scena è la depressione di una generazione precaria incapace di solidarietà soggettiva, e il panico di una popolazione ormai al limite della crisi di nervi non solo per l’interminabile pandemia.

Il New York Times del 1 ottobre pubblica con nonchalance un articolo che appare come un appello al panico: Ready to go, in case of disaster

Sottotitolo: emergencies may call for evacuation. Prepare your essentials in advance.

Ai cittadini di ogni parte del mondo l’autorevole quotidiano consiglia di preparare una borsa con le cose indispensabili in caso di evacuazione, di metterci dentro vestiti per una settimana, qualcosa di caldo e qualcosa di impermeabile. I documenti indispensabili, il passaporto, le ricette con le medicine indispensabili, tutti i medicinali che potrebbero servirvi, coke dei documenti assicurativi. E anche una tanica di benzina e un po’ di cibo. E naturalmente una collezione di maschere, guanti sanitari. Caricatori per il cellulare, pile, una lampada. Ah, dimenticavo, anche qualche barretta di cioccolato.

https://www.nytimes.com/2021/08/30/business/supply-chain-shortages.html

https://edition.cnn.com/2021/09/29/business/supply-chain-workers/index.html

Dis/connessioni ed Elezioni. Alcune note e un saluto

Thursday, October 7th, 2021

“La terra reagisce alle azioni dell’uomo, la terra non ha un’anima”, dice quel professor ingegnere che si segue sul divano, mentre si lancia in una digressione (“più o meno divagazione sul tema”) sugli esiti catastrofici del surriscaldamento del geoide terrestre, con fuori i primi freddi che sopraggiungono, il cielo bianco lattiginoso che profuma di silenzio e porta con sé incrollabili fragilità esistenziali, chiede silenzio e finisce frantumato in una barcamenata di banalità che sgorgano dal dispositivo/palla al piede del detenuto: in qualsiasi momento, abusando del suo presunto potere, egli può dire “quelli da casa scrivano il loro nome adesso”, al fine di dimostrare la loro presenza nell’adesso richiesto. Ma fra poco finisce, come tutte le cose.

1. È già giovedì!, direbbe qualcuno, e lunedì è passato portandosi dietro alcune cose che sono successe e in qualche modo significheranno, più sul possibile futuro, sul presente che sarà – posto che il futuro oggetto del lavorìo della tecnica è inconoscibile, immutabile nella sua razionale programmaticità, scriverebbe Ellul pressappoco; le elezioni in certe città fra cui Bologna (“la città più progressista d’Italia”), l’irraggiungibilità del trittico delle piattaforme di Zuck – nonché delle dichiarazioni di quell’ex-dipendente, che ci interessa meno in ragione della contingenza della circostanza (e non sarà oggetto d’approfondimento di questo piccolo scritto) – dalle cinque e mezza a mezzanotte e mezza, pressappoco, almeno in quest’angolo del mondo: i messaggi su whatsapp non si spedivano, la home di fb non si caricava e tutti quelli che conosciamo perché esistono dentro lo schermo di insta… spariti nel nulla. È un evento particolare [era successo il 19 marzo scorso per un’ora, e prima il 13 marzo 2019 – il blackout più lungo (circa un giorno) scrive repubblica], per tante ragioni. Il rapporto fra il reale e il virtuale, la stabilità del virtuale e la relativa conseguente instabilità precarietà, la significanza in senso lato delle implicazioni individuali quanto sociali, la possibilità che un giorno riaccada e lo spegnimento dilaghi ad altri siti e l’epidemia di cecità che allora colpirebbe baluardi, componenti essenziali nel nostro modo di concepire e pensare internet oggigiorno. S’è detto tante volte – spesso banalizzando, o comunque in questo modo evitando di approfondire altro, qualcosa di nuovo – che facebook non è internet, (e google anche), non s’è detto: un giorno può saltare l’uno, un giorno può saltare l’altro. E se salta teams e le lezioni online? E se salta google per davvero? E se saltano quelli che per mancanza d’alternative credibili continuiamo – qui, almeno, per un altro po’, ma prima o poi approderemo a “meglio di così” – a chiamare media, quei siti d’informazione che danno una forma alla popolazione di questa fascia di mondo? Se salta chi informa i fatti sui fatti?

Come detto, le questioni e le implicazioni sono svariatamente variegate, tristemente molteplici [torneremo sul concetto di molteplicità ben presto e una disposizione altrimenti altra, senz’altro, per fortuna], e per adesso ci limitiamo a metterne un poco a fuoco due, rigorosamente in forma “di bozza”, in itinere. La prima riguarda l’effettiva stabilità materiale delle piattaforme: a fine gennaio 2018, al WEF di Davos, Soros si riscopriva un paladino democratico e le descriveva come un “ostacolo all’innovazione” e allo sviluppo del mercato e della concorrenza, in ragione delle loro tendenze monopolistiche, nonché (circa) ‘come danno per la tenuta della democrazia, minaccia per la libertà di pensiero individuale’ et similia; infine dichiarava ad esse battaglia sul piano fiscale:

“[…] È solo una questione di tempo prima che si rompa il dominio globale dei monopoli statunitensi sulle tecnologie dell’informazione”

Fine gennaio 2018. Ormai quattro anni dopo, il lockdown informatico d’una parte importante della comune concezione dell’internet mostra una discreta quantità di polvere sotto il tappeto, fantasmi e scheletri che – una volta di più – rendono la riflessione sulla tecnica d’una attualità scottante. Questo soprattutto perché all’antipodo della vicenda, al vertice del cucuzzolo l’intraprendente Zuck parla e pensa – immagina – nei termini di Metaverso [consigliato è quest’interessante articolo di Ryan Zickgraf che introduce alla questione]. Se da un lato il “farsi oscuro” delle tre giganti piattaforme può esser interpretata – a seconda del punto di vista, nonché dell’occhio di chi guarda – come un guasto o come una guerra in corso fra grossi (grossi grossi) possessori di capitali, altrettanto distopico e attualmente oscuro – in quanto se ne sa poco e soprattutto poco si immagina – è l’orizzonte in direzione e in funzione del quale opera e ragiona il precursore del social network di massa, concettualmente all’incirca un “Internet incarnato, [nel quale] invece di visualizzare i contenuti, ci sei dentro”. Il passo più interessante è il parallelismo con Snow Crash, romanzo di Neal Stephenson del 1992 dal quale lo stesso termine “metaverso” è mutuato. In sostanza, con la linea di demarcazione fra il reale e il virtuale che sfuma sempre più fino a farsi un dettaglio accessorio (l’autore cità l’iperrealtà teorizzata da Baudrillard, quando “realtà e simulazione si fondono così perfettamente che non c’è una chiara separazione tra i due mondi”), compare la categoria dei gargoyle, esseri che

“Non finiscono mai una frase. Sono alla deriva in un mondo disegnato a laser, scansionano retine in tutte le direzioni, controllano chiunque si trovi nel raggio di un migliaio di metri, vedono tutto contemporaneamente alla luce visiva, agli infrarossi, al radar a onde millimetriche e agli ultrasuoni.” [dal romanzo di Stephenson, citato nell’articolo]

Sono quella categoria vagamente postumana che finisce con l’aderire acriticamente e ciecamente ad ogni dettame votato all’innovazione, al progresso, al dominio della tecnica sull’essere umano. L’uomo è l’essere sacrificabile [homo sacer] immolato (“votato”) sull’altare del capitale.  Verrà il giorno d’uno scontro definitivo e costituente fra gli aderenti – che allora saranno necessariamente utenti/adepti – e la nuova resistenza dei “rimasti umani”? Non ci resta che vivere e stare a vedere.

2. Le elezioni. Non mi va di scrivere granché, così incollo questo testo preso dal profilo fb di Davide Blotta – in allegato stanno alcune toccanti fotografie che consiglio ai curiosi. Non c’è poi tanto da aggiungere, si potrebbe, ma magari un’altra volta.

2015 Sgombero di Ex Telecom (280 persone, 100 minori)
2015 Sgombero di Atlantide
2016 Sgombero delle famiglie dello stabile di Via de Maria
2017 Sgombero Galaxy (31 Famiglie)
2017 Sbombero O.Z. Il più grande skatepark indoor d’Europa. Postazione preferita di B.U.M (Bologna Underground Movement). Ora fa parte dell’Unipol.
2017 Sbomberi di Labas e Crash! Eseguiti nella stessa ora, alle 6 del mattino di martedì 8 Agosto. Una mossa da veri leoni. Labas prenderà una cantonata talmente forte da non riprendersi mai più. Oggi infatti è una parrocchia. Ah, fino a poco tempo fa ti davano i sacchetti dell’umido.
2019 Sgombero di Crash!
2019 Sgombero di XM24 avvenuto alle 5 di mattina del 6 Agosto. La giunta PD ha la simpatica idea di impiegare una ruspa per cacciare via gli attivisti. Era il periodo in cui scimmiottare Salvini ti faceva vincere qualche consenso alla briscola del Pontelungo.
Gli attivisti rimangono sui tetti, c’è chi si lega in piscina, c’è chi si appende al soffitto. Si fa avanti un certo Lepore, un ragazzone come lo chiamano quelli dell’Estragon (Estragon, a dire la verità nessuno si ricorda più di voi. Sarà che non ascolto più i Green Day ma nella mia testa eravate sepolti. Una cosa mi ricordo, a 16 anni mi faceste pagare 4 euro l’acqua nel vostro locale. Spero riapriate presto) Lepore promette agli attivisti che se fossero scesi avrebbe firmato seduta stante l’impegno ad assegnare a Xm24 una nuova casa. Lepore non era il rappresentate di classe della 5b, Lepore, come da ultimi 10 anni, ha l’incarico su Cultura e Turismo di questa città. Attenzione, il personaggio lo conoscevamo. Prima di allora si era infatti presentato con l’idea di salvare i muri esterni del centro sociale perché gli piacevano i graffiti. Grazie, rispondemmo, che ne pensi della piscina invece?. Alla fine della storia propose di istituire un museo della Bologna punk con quegli stessi muri. Sarà perché gli anarchici non vanno matti per i musei, specie se sono loro le opere gratuite, ma la proposta fu accolta con la cancellazione dei graffiti e con la comunicazione scritta di quel che loro pensavano dell’intera idea: all’inizio si optò per scrivere vaffanculo, poi la maggioranza votò per una scritta di 30 metri che recitasse ‘questo cohousing è una cagata pazzesca’. Museo rovinato, la scritta è ancora lì.
Qualche mese più tardi il posto che viene assegnato a Xm24 si trova nei pressi di Imola, non ha l’attacco della luce e si può raggiungere solo a piedi. Frequentavo XM in quel momento e mi ricordo che il posto offerto non piacque molto.
2020, Febbraio. Nella notte ricevo una telefonata. Finisco di lavorare e mi reco all’Excaserma Sani. Fotografo lo sgombero della palazzina che è ancora buio.
Con l’eccezione dell’ex Telecom, in tutti questi posti sgomberati ora ci fanno le assemblee i topi. Alcuni vengono anche da fuori.
L’ex Telecom è il mirabile esempio di quello che oggi definiamo lessicalmente come baratro. Uno studentato che vende camere doppie a 600€. È felicemente abitato da un gruppo di ragazzotti bianchi panna che amano sputare in testa ai passanti e agli attivisti contrari allo sviluppo del lusso in un quartiere povero.
2021 Apre Dumbo, ovvero un capannone. Viene chiamato oggi il centro sociale di Matteo Lepore. In questo capannone aperto con soldi pubblici si può ascoltare tranquillamente un concerto di Jennifer Lopez ma attenzione a farsi venire sete perchè altrimenti devi pagare l’acqua. Ripeto, devi pagare l’acqua. In altenativa ci sono dei simpatici drink, o meglio delle poltiglie colorate, a 9 euro l’uno. Non ti preoccupare, accettano anche carte di credito: mai esistito un capannone così comodo.
Non mi importa nulla delle elezioni, non mi importa nulla di chi votate, vi considero amici come il primo giorno che vi ho conosciuto. Sono molto triste, questo sì.
Abito da 24 anni nel quartiere Reno, un agglomerato urbano di tipo popolare costruito in seguito all’immigrazione dei meridionali nella periferia ovest di Bologna. Ora siamo meridionali, indiani, pakistani, cinesi, rumeni. Conviviamo bene e ci somigliamo un po’ tutti. Nel mio quartiere ci sono più compro oro che fermate del bus. Parliamoci chiaro, ne abbiamo parecchie di fermate di bus qui. Chi va a fare colazione nei nostri bar può assaggiare il cornetto inzuppato alle tonnellate di anidride carbonica della via Emilia. Ci sono parecchie slot machine. Mi ricordo che quando andavo in centro da piccolo mi chiedevo perchè lì mancassero, e mi sembravano un po’ sottosviluppati quelli di saragozza che non avevano neanche un posto in cui giocare ai cavalli. Ecco, da noi almeno si può scegliere, ci si può ammalare di gioco d’azzardo oppure di cancro per via delle polveri sottili. Ecco, secondo me Sartori è del quartiere Saragozza perchè a noi questa idea del frisbee, io ho provato a fare mente locale, non ci è mai venuta in mente. E’ per questo motivo che non posso sopportare il nostro futuro assessore alla cultura, ho un problema di circoscrizione.
A questo punto, governate, fate quello che volete. Ma non interessatevi più di noi, non interessatevi più di cultura, storia e società. Costruite questo benedetto campo da fresbee, costruite tutte le fiere del cibo che volete ma lasciateci in pace. Lasciate stare i poveri. Noi non sappiamo che farcene di voi e voi non sapete che farvene di noi.
Chiedo scusa se ho ferito qualcuno/a, sarà che oggi non mi sento molto super.

(dal profilo di Davide Blotta)

Per oggi può bastare così. Per chi non ne avesse abbastanza, un articolo su zero dal titolo “L’insostenibile leggerezza dell’eventificio Bologna”: un’altra questione urgente.

[ps. queste riflessioni frammentate sono dedicate a Jamil, il palestinese di al Salam di via 100300 che a fine settembre se n’è andato da questa terra, presumibilmente in un posto migliore; ricordo un paio di belle chiacchierate, in quei casi era sempre Gio che aizzava la conversazione. Mi rendo conto adesso del dono prezioso di quei momenti, che non torneranno, sperimento un’impotenza disarmante e mi consolo al pensiero d’una flebile manciata di ricordi belli. Arrivederci, signor Jamil venuto dalla Palestina]