Postilla di metodo per le parole del futuro prossimo

Talvolta, spesso molto spesso, si legge cercando nelle parole una visione d’insieme, una panoramica a volo d’uccello su un fatto, od un insieme di fatti, una serie di dinamiche che costituiscono – o almeno ci provano – un evento, un qualcosa d’accaduto; le ragioni d’una guerra, il senso sottostante la ragione d’una norma, le conseguenze dell’una o dell’altra. Ribaltando la prospettiva, si presuppone chi scrive si adoperi in funzione di soddisfare (sopire) quest’esigenza sottesa; leggendo un articolo di giornale, ci si aspetta una ricognizione ed una formazione al contempo, un passaggio di informazione che sia tacitamente produzione d’una verità – che sarà in fretta opinione, fonte di dibattito, motivo di scontro con un’altra opinione plasmata attraverso la lettura d’un differente articolo, proveniente da una fonte diversa. In fretta ci si scopre bramosi d’essere messi in forma, informati alla svelta, costituiti, fatti e formati, nel minor tempo possibile; noncuranti del domani – che avrà le sue inquietudini e le sue forme, ci si costruisce dell’ e nell’oggi, ché ad ogni giorno basta la sua pena (Mt 6, 34). Eppure, qualcosa non torna. E’ questo un implicito accettare ed aderire – in modo sibillino – la grande macchina della divisione sociale del lavoro, con i suoi modi di produzione; è l’inconscia accettazione d’una produzione scritturale industriale e seriale che rende possibile accettare questo meccanismo in-formale quanto infernale, aspettarsi una costante rimasticazione dei concetti, un continuo riepilogo – dall’acre sapore propagandistico, nella sua sfibrante ridondanza. Ciò è cosa buona solo per gli incalliti masticatori di merda che tentano con più o meno sottesa violenza di convincere tutti gli altri ch’è cioccolato; merda rimane, anche quando si secca.

Ecco perché questa postilla preventiva sulle parole che saranno, dopo lungo tempo d’indugi, timori circa l’insufficiente tendenza (logorante, da pensare d’organizzare e mettere in pratica) alla volontà di scrivere presupponendo una costante visione d’insieme, una panoramica completa e propedeutica, educativa, formativa. Non è, questo, uno spazio di formazione, quanto piuttosto un blocco-note d’osservazione, uno scorcio che attraverso lo sguardo sul particolare cerca risonanze valevoli al simil-universale; un appuntario (un diario d’appunti – appuntiti?). Seguiranno, nel medio-breve periodo, certe impressioni che sfibrano l’esser tenute dentro, ma senza premesse o riepiloghi, resoconti di punti di vista altrui, indicazioni sulla giustezza dell’uno piuttosto che dell’altro. Qui poco conta il giusto, e ancor meno la ragione della giustizia, il politicamente corretto e quelle cazzate che ci hanno fatti tanto civilizzati e tanto poco civili, un gregge di maschere mascherate.

C’è un po’ di frustrazione, certo, ma anche la voglia di fare, di dire, senza l’ansia o la pressione – o la presupponente, opprimente convinzione – del dover avere a tutti i costi ragione. Ce n’è a bizzeffe, di manuali della perfetta messa-in-forma, diete miracolose per il corpo e la mente, anni ed anni di scuola dell’obbligo per finire a scegliere liberamente quale partito votare, quale canale guardare stasera – ma domani un altro, ché siamo in democrazia, eccetera et cetera. Qui, in quest’angolo di mondo che non esiste (ma chissà, forse un giorno esisterà), qui non vi è civiltà, ma solo curiosità stranita – e sdegno, a massicce dosi, ma di lieve entità. Così è, se vi pare; a presto.

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